Noi cacciatori, vi raccontiamo come si cucina la selvaggina

Maddalena Parolo

Ricettari famigliari, in tempo di caccia il mirino non è solamente puntato sugli animali, ma anche in cucina: parola di tre appassionati dell’arte venatoria e di padelle.

Un libro di ricette per documentare i tanti piatti a base di selvaggina preparati insieme: è quanto Christine Viglezio ha realizzato e regalato  a suo marito Marco qualche anno fa. Proposte che spaziano dal camoscio in salsa tonnata alla frittura di marmotta, dal roastbeef agli ossi buchi di cervo. Un ricettario che ha subito convinto parenti e amici, tanto da spronarli a darlo alle stampe (Selvaggina in tavola, Armando Dadò editore).  «La pubblicazione è a cura della Federazione cacciatori ticinesi, della quale sono il vicepresidente, allo scopo di dare il giusto risalto alla valorizzazione gastronomica della risorsa. Un aspetto dell’attività venatoria altrettanto importante quanto la ricerca e la cattura del selvatico» racconta il buongustaio Marco Viglezio.  Sì, perché lui, cacciatore e oggi veterinario in pensione, si trova a suo agio anche ai fornelli. E allora, quale delle ricette ci farebbe volentieri scoprire? «Consiglierei lo spezzatino di cervo (o cinghiale) alle olive: una cannonata! Le carni di selvaggina sono “bio”, magre e sane, visto che si tratta di animali in continuo movimento e che si nutrono della vegetazione di montagna. Spesso sono le salse e il contorno a renderle pesanti». 

Non coprire il sapore della carne 
Gli fa eco Enrico Moriggia, macellaio della Coop di Caslano, pure lui cacciatore. «Ogni specie mangia altri tipi di erba, che danno alla carne una differente caratteristica, perché vive a differenti altitudini. Il camoscio, nel suo regno tra i 1.000 e 2.400 metri, bruca una diversa composizione botanica del cervo, che si trova generalmente a quote inferiori. Per queste ragioni, mi sembra importante cucinare la selvaggina in modo da non coprire il suo tipico sapore».  Enrico Moriggia, ad esempio, non lascia più di una notte la carne nel vino. «Le scaloppine di capriolo, da cucinare à la minute, invece, mi piace accompagnarle con una salsina leggera ai funghi porcini. In generale, le bistecche di cervo e di capriolo vanno cotte al sangue come quelle di manzo». Come a Marco Viglezio e Enrico Moriggia, anche a Maddalena Parolo piace cucinare ciò che lei «porta a valle».

L’animale onorato in tutti i sensi
«Pure mio marito è cacciatore, ma in cucina ci sto principalmente io. Mi piace preparare il salmì, le costolette di cinghiale, il ragù di cervo, ma anche gli prelibati ossibuchi di cervo o la chinoise. Insomma, da noi l’animale è onorato in tutti i sensi».  La gerente della Coop al Serfontana è cresciuta in una famiglia di cacciatori. Le ricette si tramandano di generazione in generazione. Un trucchetto per preparare un buon salmì? «Seguo la ricetta di mio papà: aggiungo un bicchierino di grappa americana e un po’ di cioccolato. E soprattutto non uso mai il vino nel quale ho messo a marinare la carne. In questo modo il “selvatico” rimane meno forte».  Maddalena Parolo, che ha l’abilità venatoria da 25 anni, quando pratica la caccia bassa è accompagnata dal suo cane. «Abbiamo la passione dell’allevamento della razza Setter inglese. I cani fanno parte della famiglia, vivono con noi in casa» conclude la nostra interlocutrice.  Insomma, per i tre appassionati cacciatori, non c’è solo la sella da portare in tavola, anche se è molto scenografica grazie ai suoi contorni. Per loro, la cacciagione significa onorare tutto l’animale.

Annotazione-2020-05-16-203705-1024x787 Noi cacciatori, vi raccontiamo come si cucina la selvaggina
NATALIA FERRONI

Lascia un commento