Come la pesca sportiva è inaspettatamente diventata un business

di Marco Falciano

Se globalmente la chiusura di interi paesi ha causato una forte riduzione nella pratica di molti sport, uno in particolare sta vivendo un momento d’oro: la pesca sportiva. Questo è particolarmente vero negli Usa, dove la disciplina è largamente praticata. Nello stato di New York , duramente colpito dal Coronavirus, tra marzo e maggio il numero di richieste per licenze di pesca sportiva è cresciuto del 30% rispetto all’anno precedente, in Minnesota addirittura del 41%. La Associated Press riporta una crescita di ricerche online sulla pesca è informazioni correlate di oltre il 300%. Inoltre, proprio in questi giorni ReportLinker ha pubblicato una ricerca che prevede una crescita del fatturato globale delle sole attrezzature di pesca sportiva di circa il 3% annuo, equivalente a 2,7 miliardi di dollari, nei prossimi 5 anni (tutto questo senza contare l’indotto relativo, di molte volte superiore). Una forte crescita viene prevista anche nella vendita di piccole imbarcazioni utilizzate dai praticanti della professione.

Dagli Usa, all’Europa il catch & release nelle acque interne rappresenta ormai un must per moltissimi pescatori sportivi specialisti: il pesce viene catturato con tutte le accortezze necessarie giusto il tempo di fargli una foto, per poi liberarlo, con la speranza di riprenderlo in futuro. Ogni pesce diventa così un potenziale “target”, ed il suo valore, considerato l’indotto che si crea attorno alla sua cattura, è considerevole. In USA lo studio dell’Università di Miami, del 2013, ha stimato il valore economico rappresentato dal Bone Fish della Florida, un pesce predatore particolarmente ricercato, in 3.550 dollari per ogni singolo pesce target all’anno. Considerato che la legge obbliga i pescatori al rilascio di questo pesce, durante la sua vita può fruttare, grazie all’indotto generato dalla pesca sportiva attorno alla sua cattura, circa 75mila dollari.

Anche in Europa il settore ha cifre considerevoli. Secondo quanto riportato, nel 2017, da Jean Claude Bel, ceo dell’European Fishing Tackle Trade Association, nel Vecchio Continente vi sarebbero circa 25 milioni di pescatori sportivi e oltre 2.900 aziende produttrici o di distribuzione operanti nel settore, 12.900 negozi che muovono un fatturato di circa 2.8 miliardi di euro per le sole attrezzature tecniche e un indotto di oltre 25 miliardi di euro tra soggiorni, viaggi, eventi, imbarcazioni, carburanti, manutenzioni e così via. In Italia il settore sottostà ancora al Regio Decreto n. 1604 risalente al 1931, che 80 anni dopo presenta comprensibili limiti. Presto potrebbe subire una riforma radicale, se venisse approvato il Disegno di Legge n. 695, del 19 luglio 2018 che introdurrebbe importanti innovazioni, richieste da anni dal mondo della pesca sportiva, in ambito di protezione e conservazione della fauna ittica nelle acque interne, gestione delle acque da parte delle associazioni ambientali e di pesca turismo. Per quanto concerne le acque interne, negli ultimi anni l’Italia ha registrato un proliferare di fenomeni legati al bracconaggio ittico, di matrice straniera, strutturato su base associativa in organizzazioni che avevano base in Romania, nei pressi del delta del Danubio, ma che estendevano i propri contatti in Italia, Francia, Spagna e Inghilterra. Alla fine del 2019, a seguito di diverse operazioni realizzate dall’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con Europol e Eurojust, l’attività delle bande organizzate dedite alla pesca illegale nelle acque interne italiane è nettamente diminuita. I pescatori sportivi sono stati i primi ad accorgersi e segnalare queste attività illecite, come i tanti fenomeni di inquinamento delle acque, di abbandono di rifiuti o di discariche abusive nei pressi di laghi e fiumi, dimostrando di essere sentinelle ambientali efficienti, che hanno a cuore la tutela e la preservazione del proprio territorio.

Secondo il Presidente Federale della FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee), Ugo Claudio Matteoli, tra tutte le discipline di pesca l’indotto economico è stimabile in circa 2,8 – 3 miliardi di euro, che comprende le spese sostenute da ogni pescatore per spostamenti, alloggi, pasti, eventi e, prima tra tutti, per la nautica. UCINA Confindustria Nautica, indica che circa il 30% della nautica da diporto, di lunghezza non superiore a 9 metri, sia destinata alla pratica della pesca sportiva e ricreativa, così come il 50% delle strumentazioni elettroniche di bordo vendute ogni anno. Sempre per citare alcuni numeri della Federazione, si contano in Italia ben 3043 società di pesca sportiva, circa 180mila soci, dei quali circa 100mila inseriti all’interno di società e circa 80mila associati singolarmente. La FIOPS, Federazione Italiana Operatori Pesca Sportiva, rappresenta oltre 600 negozi di articoli da pesca su tutto il territorio nazionale, è nata a seguito dell’iniziativa delle aziende italiane, leader nel settore della produzione e commercializzazione di attrezzature da pesca: Colmic, Trabucco, Tubertini. Secondo i dati in suo possesso, in Italia i pescatori sportivi e ricreativi sarebbero oltre 2 milioni di unità. La pesca sportiva dimostra di essere un ottimo volano economico per rivalutare il territorio o le realtà in crisi. Il cosiddetto big game d’acqua dolce ha realizzato la fortuna di Mequinenza, cittadina sul Rio Ebro, in Spagna, o la pesca alla carpa che ha reso celebre il lago di Bled e l’omonima città Slovena, divenuta meta privilegiata per tanti pescaturisti europei. L’Italia vanta migliaia di chilometri di coste, altrettante sponde di fiumi e centinaia di laghi naturali ed artificiali, che potrebbero essere considerati veri e propri paradisi di pesca per una moltitudine di appassionati nel mondo. Unendo il turismo green dei pescatori sportivi all’altissima qualità delle strutture ricettive del nostro paese si potrebbe, senza difficoltà, surclassare quegli stati che hanno fatto di questo sport un importante business.

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