Il tiro a Caccia…

La percentuale dei colpi mancati è i! problema che assilla tutti i cacciatori dal più al meno abili: e poiché il tiro a fermo non offre parti­colari difficoltà, questo articolo intende appun­to esaminare quali problemi sorgono e come risolverli allorché un cacciatore spara ad un capo di selvaggina in fuga. Ci limiteremo, almeno per ora. a trattare il tiro alla minuta selvaggina con munizione spez­zata e, pur tenendo conto che leggendo un articolo su una rivista non s’impara a sparare, va osservato però che un neofita deve con­vincersi << in che modo >> deve tirare: l’alle­namento farà il resto.Nella nostra vita di cacciatori abbiamo cono­sciuto tanti colleghi, modestissimi .colpitori, che si erano preclusa qualsiasi possibilità di miglio­rare il proprio rendimento dì tiro, per non aver mai voluto interessarsi dei fucili in genere ed in special modo delle loro caratteristiche di impiego, secondo il tipo di caccia, e di quelle costruttive che riguardano l’adattamento del­l’arma al fisico del tiratore. Molti inoltre si perdono dietro vere e proprie fissazioni in fatto di cartucce: un tale che in­contrammo per caso in un giorno di apertura di due o tre anni or sono, sosteneva che, con qualsiasi tipo di selvaggina, occorreva usare piombo da allodole perché, diceva, di pallini piccoli ce ne stanno di più in una medesima carica. Ma a parte questa tipo di cacciatore dall’intelli­genza poco sveglia, un buon numero di appas­sionati si limita a constatare i propri insuccessi senza ricercarne la ragione e, contenti della loro mediocrità o contrariati dalle proprie pa­delle, vanno avanti imperterriti fino al termine della loro carriera venatoria.

NOZIONI GENERALI

Nel tiro sono sempre rileva­bili errori di puntamento dovuti a erronee valutazioni personali; nel caso poi di bersagli mo­bili, le deviazioni dalla mira corretta risultano particolarmente accentuate. In teoria, un colpo risulta matematicamente esatto allorché le coordinate del tempo e dello spazio, rispettivamente del proiettile e del ber­saglio in movimento, coincidono ad un dato mo­mento, o meglio s’intersecano. In altre parole, il tiro perfettamente centrato si verifica quando I due corpi suddetti s’incontra­no nel punto d’impatto P nello spazio; non c’è bisogno di tante spiegazioni per capire quanto sia difficile realizzare questa condizione bali­stica, soprattutto considerando che un buon cacciatore deve realizzare una percentuale di colpi utili che oscilli dal 30 al 70 per cento se­condo il tipo di selvaggina, la visibilità (bosco­so o pulito, luce scarsa o meno), il maltempo, la stanchezza od altro.La stima della velocità del bersaglio risulta sempre difficile ed approssimata, la traiettoria di questo delle più impensate (rettilinea, parabolica, ascendente, discendente, a falce oppure composta come ascendente-montante destra, sinistra e via di seguito), l’accelerazione uni­formemente ritardata (come II piattello), uni­formemente accelerata o varia (come la sel­vaggina). Insomma problemi veri e propri resi particolarmente difficili dall’istantaneità delladecisione richiesta al tiratore dalle circostanze: questa necessità di percezione e di reazione immediate, comporta di conseguenza, quella di agire d’istinto.

Se si intende scagliare un sasso, per esem­pio, su una assicella di legno che galleggia sull’acqua, si cerca di dirigere il tiro proprio contro il bersaglio, ma se questo, traspor­tato dalla corrente, si muove, sarà facile convincersi, magari dopo alcuni tentativi fal­liti, che occorrerà gettare il sasso davanti all’assicella di quei tanti centimetri necessari perché il sasso abbia il tempo di percorrere lo spazio, dopo essere stato lanciato dal tira­tore. Questo sistema di tirare non dove l’assi­cella si trova, ma dove sarà al momento del­l’arrivo del sasso, è frutto di un ragionamento e non dell’istinto. Ora, allorché la valutazione deve essere effettuata istantaneamente come nel caso del cacciatore che spara ad un bersa­glio veloce, occorrerà molto esercizio perché l’abitudine di valutare la velocità de! bersaglio, la direzione e la distanza di esso, diventi una seconda natura, perché d’istinto si tenderebbe  invece   a   dirigere   la   fucilata   sul   bersaglio,   e non avanti a questo.

Fig.2 Il tiro a Caccia...

Allo scopo di eliminare in parte gli errori di puntamento, fu a suo tempo escogitato l’ac­corgimento della munizione spezzata la quale, formando nello spazio una rosata di alcuni deci­metri quadrati, tende ad assorbire gli errori di vantazione se contenuti entro limiti modesti. Avanzate queste premesse di carattere gene­rale, consideriamo i seguenti dati esemplifica­tivi: velocità iniziale dei pallini di mm 2,5 di diametro Vo= 370 m/sec.: velocità uniforme di un selvatico in volo S = 20 m/sec. distanza intercorrente tra la bocca del fucile ed il sel­vatico D = m 30; ed infine teniamo conto della traiettoria percorsa dal volatile nella sua fu­ga, se essa sia cioè rettilinea, trasversale o perpendicolare alla fucilata che il tiratore do­vrà sparare. Questi, prima che il selvatico tran­siti davanti alla sua persona, si appresterà al tiro imbracciando lo schioppo, « prenderà il tempo » e quindi sparerà il colpo. Partendo dal­l’istante in cui l’uomo ordinerà a se stesso di premere il grilletto a quello in cui effettiva­mente questa parte del fucile sarà scattata, passa una frazione minima di tempo che pos­siamo chiamare <<tempo perduto >> e che, ripe­tiamo, è quella necessaria perché i centri ner­vosi del tiratore trasmettano l’ordine del cer­vello all’indice della mano. A questa frazione minima di tempo occorre ancora aggiungere quella o meglio quelle necessarie perché le parti dell’arma provochino la deflagrazione del­la polvere e cioè il sollevamento del cane, corsa del medesimo contro il percussore ed infine II tempo necessario perché la munizione percorra i centimetri 70 circa di spazio tra la camera di scoppio (in cui la velocità è zero) e l’arrivo all’ambiente esterno in cui la velo­cità è , come si è detto, di metri 370 al secondo. Questo percorso dentro la canna del fucile lo chiameremo << traiettoria interna >> .In ultimo si dovrà anche aggiungere il tempo di percorso della traiettoria esterna prevista nel nostro esempio, in 30 metri. Considerato che la velocità  V  nell’interno della canna  da  zero  passa  a  370  metri  al   secondo, si  può. con  un  certo  fondamento,  ritenere che la  velocità  media,  nella  traiettoria  interna,  sia :         370V =—— = 175  metri   al   secondo  e  poiché   lo spazio è dato dalla velocità moltiplicando il tempo ( s= v x t)         2                 s     0.70 msi avrà t =————— = 0.003 secondi                 v   185 m/sec.che è il tempo necessario perché il proiettile (pallino) percorra la traiet­toria interna nella canna lunga, come si è detto, metri 0.70. Da esperimenti effettuati sia in fisiologia balistica riportati su scritti di autori di indiscusso valore [De Florentis ed altri), sono stati trovati i dati qui di seguito trascritti e che vanno sommati al tempo necessario per­ché il proiettile percorra la traiettoria interna suddetta: tempo perduto fisiologico                     sec.    O,100 +tempo  di  sollevamento  del  canedell’arma                                                      0,003tempo di  corsa del  medesimo                          0,005tempo  di  traiettoria  interna  deipallini                                                           0,003tempo  di   traiettoria  esterna  deipallini                                                          0,107 Totale in min/sec. necessario perché la rosata del piombo s’impatti sul bersaglio semo­vente .In base ai suddetti ipotiz­zati elementi             0,218In questo periodo di tempo il selvatico, che intanto si muoveva alla velocità di 20 metri al secondo come si è detto, avrà percorso una distanza di lunghezza L 

da L = 0,218×20 m/sec. = m 4.36.Ora, poiché la rosata di un calibro 12 (quello largamente più usato da noi in Italia) alla di­stanza di 30 metri, coi pallini del diametro di millimetri 2.5 ciascuno, fornisce, in una canna di media strozzatura, un diametro di centimetri 62 circa che comprende il 75% dei pallini con tenuti nella carica (Benassi), si potrà agevolmente concludere che, nelle condizioni di tiro di cui alle su esposte premesse, il centro della rosata dovrebbe essere spostato in avanti dal tiratore di metri 4.36 per risultare pressochè  matematicamente esatto e che soltanto un errore, in difetto od in eccesso, minore di 62 centimetri, sarebbe annullato dalla rosata de pallini con serie probabilità cioè di abbattere il selvatico in fuga rettilinea, trasversale o perpendicolare alla traiettoria della fucilata. Perché il tiratore possa ottenere l’anticipo anzidetto di metri 4.36. sarà sufficiente che il mirino venga spostato in avanti secondo la seguente proporzione: 4,36           X                      4,36 X 0,7
——– =——– da  cui  X = —————- 30           0,7                          30 X x m 0,108 ossia, arrotondando, sulla line di mira la bocca della canna dovrà essere più avanti di undici centimetri rispetto al bersaglio. In tal modo alla distanza D di 30 metri risulteranno i 4.36 metri più avanti trovati come necessari per centrare il bersaglio in movimento.Purtroppo questa è soltanto teoria, indispensabile per coloro che non sanno colpire d’intuito e devono arrivare a risultati apprezzabili per gradi e prima di tutto rendendosi edotti degli anticipi che in maggiore o minore misura, de vono essere dati al bersaglio in moto. ln pratica le cose si complicano molto: il selvatico vola con traiettoria a capriccio causa gli alberi, le correnti aeree, la sua stessa volontà di cambiare direzione all’improvviso: nel caso di un tiro come quello dell’esempio precedente, che i cacciatori chiamano <<traversone >> ben difficilmente si presenterà ad angolo retto ed allora l’anticipo previsto suddetto risulterà dai metri 4.36 moltiplicati per il coseno dell’angolo formato dalle due traiettorie e cioè sarà in effetti minore. 

IL TIRO Ora che abbiamo ricordato le elementari regole balistiche da rispettare perché una rosati di pallini colpisca un bersaglio in movimento, cade opportuno dire quali sono i sistemi di tiro da adottare. Anche qui è necessaria una premessa il novizio dovrà cercare di tirare in modo istintivo con un fucile adatto al suo fisico. Se vedrà che l’inizio è promettente — è sempre meglio però farsi giudicare da un esperto — non gì rimarrà altro che proseguire sulla stessa strada. Se invece i risultati saranno scarsi, dovrà allori abbandonare ogni velleità di fare da sé ed addestrarsi con un preciso programma da seguire secondo le norme elencate qui di seguito. Esistono tre modi di sparare: a)   chiudendo un occhio e accompagnando con li mira il percorso del bersaglio e quindi tirando con anticipo su questo (tiro di tempo); 

b)  stesso sistema di cui sopra ma con ambedue gli occhi aperti;

c)   tiro cosi detto di stoccata (o d’imbraccia­tura) cioè sparando la fucilata d’improvviso nel punto ideale P nello spazio dove l’animale si troverà al momento in cui la rosata transi­terà dallo stesso punto P. Il primo modo di sparare, cioè con un occhio chiuso, sta cadendo in disuso ed i cacciatori moderni allottano il tiro d’accompagnamento ad occhi aperti o quello di stoccata (sempre con ambedue gli occhi aperti). Da un punto di vista solo teorico, il sistema di mirare come su un bersaglio (e cioè con un occhio chiuso)è poco consigliabile prima per­ché più lento e poi perché un occhio solo non è in grado di apprezzare e valutare le distanze in profondità perché vede tutto piatto. Di conseguenza, tirando con un occhio chiuso, non solo nell’istante dello sparo il cacciatore non è in grado di capire se il selvatico si al­lontana o si avvicina (all’ultimo momento), ma rischia di perdere la percezione degli scarti im­provvisi che può effettuare in profondità, con conseguenze facilmente comprensibili.. Lo stesso sistema, ma con ambedue gli occhi aperti, permette una maggiore percezione di tutto quello che avviene intorno e non soltanto del percorso del selvatico, ma anche di altri fattori, come la apparizione improvvisa di per­sona, animale o cosa che rischierebbero di es­sere investiti dalla fucilata. Il terzo sistema, cioè il tiro di stoccata, da a volte risultati che strappano l’ammirazione. Molto spesso, tiratori « di stoccata >> sono stati visti colpire selvatici nel bosco con una magi­strale precisione ben difficilmente raggiungibile col tiro <<accompagnato >>  ad occhi aperti e tan­to meno con quello ad occhio chiuso. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Lo stoccatore affida completamente il suo risul­tato di tiro all’improvvisazione, ad il suo in­tuito felice, al suo occhio quasi indovino. Se per caso, quindi, il suo sistema nervoso un giorno non è perfetto, se una contrarietà qualsiasi, una nottata non ben trascorsa peggiorano anche impercettibilmente il suo stato fisico, il grande tiratore non si riconoscerà più e la sua percentuale di zeri crescerà inaspettatamente. Non cosi il tiratore di tempo. Questi sarà pure soggetto ad alti e bassi come qualsiasi essere umano, ma con risultati più contenuti. Il suo modo di tirare non è tanto affidato all’istinto quanto al mestiere.

L’animale che si leva e prende quota, oppure transita a raggio di tiro, verrà <<incannato >> per quella frazione di secondo sufficiente perché la fucilata sia regolata e, direi, commisurata alla andatura, direzione e verso del selvatico in fuga. E non si dica che con ambedue gli occhi aperti non si può prendere la mira, tutt’altro. Ognuno di noi è destro o mancino non solo di membra, ma anche di vista: basterà, per persuadersene, afferrare un bastone o una rivoltella e puntare ad occhi aperti verso un bersaglio. Chiudendo prima un occhio, poi l’altro, dopo riaperto il primo, si scoprirà qual’è l’occhio conduttore, Ripetendo la prova più volte, si avrà la conferma che sempre lo stesso occhio ha la preponde­ranza sull’altro, ed è quello che prende la mira. Il secondo serve egregiamente per inquadrare il tiro nell’ambiente come detto sopra. Naturalmente si parla di occhi immuni da di­fetti di miopia, astigmatismo ed altro che pos­sono compromettere il normale campo visivo dell’uomo; in caso di difetti di questo genere, soltanto un medico oculista potrebbe pronun­ciarsi caso per caso.

Fig.3 Il tiro a Caccia...

Tecnica del tiro.

Chi intende apprendere la dif­ficile arte del tiro a volo, dovrà essersi per­suaso di quanto fino a qui è stato detto e quindi anche esser arrivato a conoscere in quale delle tre categorie di tiratori la sua na­tura lo ha destinato.Per far questo basterà che il neofita, meglio coll’assistenza di un esperto, tiri alcuni colpi col suo fucile spontaneamente, senza cioè cer­care di adottare l’uno o l’altro dei tre sistemi indicati e Indipendentemente dai risultati con­seguiti sui bersagli. Anche se la natura non lo avrà creato colpitore d’istinto, potrà con la vo­lontà e l’esercizio, pervenire a risultati sod­disfacenti.Esaminiamo brevemente i tiri alla selvaggina come si presentano in pratica e quali accorgi menti adottare per colpire con precisione e successo.Le   traiettorie   di   un   corpo   nello  spazio geometricamente infinite ma, agli effetti che ci interessano, possono   suddividersi   in grandi   categorie:   traiettorie  semplici  traiettorie  composte.Le prime sono quelle che richiedono al tiratore un solo anticipo come nel caso di un << traversone >> nell’esempio in precedenza riportati oppure nel caso di una beccaccia od un’alzavola che si alzano in colonna. In questo caso i cacciatore dovrà sparare sopra mentre dovrà tirare sotto nel tiro di coda ad una coturni­ce in picchiata dall’alto di una roccia. Tiri com­posti sono invece quelli che obbligano il cac­ciatore a due anticipi; per esempio, quando una beccaccia si alzerà in colonna e dovrà obliquare un po’ a destra per scansare la chioma d’un albero; il cacciatore dovrà logicamente tirare sopra a destra. Quando una coturnice anziché diritta avrà indirizzato la picchiata spo­standosi a sinistra rispetto al tiratore, la fuci­lata dovrà essere indirizzata sottoa sinistra. Precisato quanto sopra, i tiri semplici si pos­sono così raggruppare:a)   di  coda  o di  punta;b)   di  traverso   (anche  se  di  mezza  coda  o  di mezza  punta) :c)  sopra la testa di punta (colpo del re) o di coda;d)   a colonna.

I tiri composti, invece, possono così essere sintetizzati:a)     di   coda   o   di   punta   ascendente   o   discen­dente  obliquamente;b)   di  traverso  ascendente  o  discendente   (an­che se di mezza coda o mezza punta) :c)   fiancone montante destro o sinistro (a colon­na obliqua sia andante che venente).Tutte le altre traiettorie che possono presen­tarsi come differenti dai tiri sopra enunciati, non sono altro che varianti di questi ultimi e ad essi assimilabili per quello che riguarda problema di colpire. Si potrebbe osservare che il fiancone montante destro o sinistro è sem­pre un tiro di coda ascendente più o meno obliquo. Noi abbiamo inteso egualmente metter­lo In evidenza perché si differenzia dal fatto particolare che il selvatico parte da terra e con accentuazione della colonna rispetto all’obliqui­tà; ci fa Indurre spesso in inganno sparando sopra soltanto, con risultati terribilmente mor­tificanti se non si riesce a rendersi conto che quella leggera obliquità non avvertita è stata causa unica dell’errore. Ancora si può dire che il volo a falce sia sul piano orizzontale che inclinato non è altro che un particolare traver­sone semplice o composto. Lo Scheibler nel terzo volume dell’ormai clas­sico manuale << Starne, lepri, fagiani >> adotta una classificazione molto simile a quella sopra riportata, ma che ha l’inconveniente di distin­guere troppi casi di tiro che si possono assi­milare col rischio di confondere le idee al prin­cipiante e di scoraggiarlo. Pertanto dalle traiettorie di tiri semplici si può dire: che nei tiriadi coda o di punta, se si presentano all’altezza degli occhi di chi ha il fucile, nessun anticipo dovrà esser dato; se invece si presentano un po’ più bassi od un po’ più alti, nel caso che il selvatico si allon­tani, si dovrà tirare rispettivamente un po’ so­pra il dorso od un po’ sotto la pancia; nel caso che si avvicini volando basso o alto, si sparerà davanti al becco; che il tirob)dovrà sempre essere avvantaggiato con più accen­tuazione quando le due traiettorie del selva­tico e della fucilata formano un angolo che si approssima a quello retto; che nel tiroc) quand’è di punta, occorre sparare allorché le canne del fucile si Trovano avanti al selvatico fino a coprirlo totalmente (cioè non vederlo) al momento che si stringe la botta, mentre se è di coda, si deve scoprire totalmente la sagoma del selvatico. Che nel tirod)si deve, come si è detto, sparare sopra e cioè coprire colle canne II bersaglio quando si preme il grilletto. Per i tiri composti, purtroppo, le cose si com­plicano perché nel volo di coda ascendente o discendente obliquamente si deve rispettivamen­te sparare sopra a destra (o a sinistra) op­pure sotto a destra (od sinistra). Lo stesso dicasi per il traversone ascendente o discendente ossia avanti sopra od avanti sot­to nell’ordine; analogo discorso per il fiancone destro (o sinistro) andante o venente, tiro che più degli altri mette in difficoltà il cacciatore e provoca degli zeri anche sulle pedane di tiro a volo.Da più cacciatori è stato detto che il seguire regole teoriche come quelle esposte nel pre­sente articolo, non serve altro che a far peg­giorare le cose anziché migliorarle agli effetti del tiro e che quindi non è di nessun interesse pratico teorizzare sulle modalità di tiro, gli an­ticipi, i colpi di stoccata o di tempo. è bene qui fare una distinzione: In questo scrit­to abbiamo ripetutamente affermato che le re­gole da noi enunciate (e che peraltro non sono state inventate da chi scrive ma che fanno parte di quelle cognizioni tecniche di chiun­que si sia occupato di caccia non soltanto da un punto di vista esclusivamente pratico] pos­sono essere utili solo a chi deve imparare a tirare e non riesce ad acquisire risultati ap­prezzabili senza nessun accorgimento teorico. Quindi scuola teorica per i meno dotati. Per chi invece è già buon tiratore, declassarsi di bel nuovo ad allievo per seguire un metodo a lui non congeniale per ritornare ad essere magari quel buon fucile che era prima, sarebbe cosa assurda sulla quale non vale la pena dilungarsi; chi ha già acquisito un buon rendimento nel tiro può tentare di migliorare I suoi buoni ri­sultati con un normale allenamento soltanto In parte sul piattello, assai meglio sullo << skeet », superlativamente sui selvatici, II piattello dalla buca è un allenamento che, se eccessivamente esercitato, meccanizza trop­po il tiratore e lo rende vulnerabile a tutti quegli errori causati da traiettorie varie rispetto alla velocità.L’eccesso di sicurezza gioca dei brutti scherzi  e provoca degli zeri così come la troppa paura dell’errore. 

Fig.4 Il tiro a Caccia...

Coppiole   e   tripletti. 

Premettiamo   che   al   tiro  al   piccione   coloro   che  vanno  a   premio   sono  sempre quelli che centrano con la prima canna .La  seconda  servirà  soltanto o per ribattere ferito  in  terra oppure  per  rimediare  ad  un errore   del   primo   colpo   eccezionalmente   andato a  vuoto.In caccia il rilievo non è altrettanto categorico perché non c’è lo spauracchio dello zero rappresentato da un selvatico ben centrato, ma caduto fuori della rete. Pur tuttavia questa osservazione conserva ancora una importantissima validità, e la ragione va ricercata soprattutto nel fatto che nel primo colpo il tempo è  scelto dal tiratore, mentre successivamente le circostanze obbligano questi assai spesso ad  uniformarsi ad esse. Inoltre con la prima fucilata il selvatico è a giusto tiro, con la successiva più lontano e spesso coperto se si caccia campagna, più vicino anzi spessa quasi a dosso in battuta, con volo disordinato e spesso in parte a colonna ascendente, in botte. In linea generale da molti esperti (coi Scheibler. colonnello Ciseri) è stato affermato che per destinare bene una schioppettata occorre mediamente un minuto secondo. È pertanto logico concludere su questa base, che quelle coppiole serrate che destano meraviglia non sono da consigliarsi in genere altro che a cacciatori consumati i quali a ragion veduta sanno istantaneamente rendersi conto in quali  casi eccezionali occorre agire con così veloce disinvoltura.In  genere   si   tratta  di   beccaccini   imbirbiti  od al tiro al piccione, ma nell’uno o nell’altro caso si tratta di sparare allo stesso animale e quindi l’angolo  di  correzione  del  tiro  è  assai  piccolo  al   contrario   di   quando   invece   si   deve   tirare a due  distinti  selvatici. Per questa seconda eventualità ci permettiamo di  ricordare che la regola  non tanto della coppiola.  quanto  del   triplette,  quartetto   e…  quin tetto   (a  Dio  piacendo!)   è  quella  di  tirare ad ogni  singolo selvatico  e passare  al  successivo  senza   preoccuparsi   se   il   precedente   è   stato  colpito o  meno.  La contabilità va fatta  al  consuntivo, altrimenti  non si  fa  in tempo a  scaricare tutto il  serbatoio dell’automatico. È vero che da tiratori molto esperti viene spesso  dedicato  non  più  di  mezzo secondo tra tiro  e  l’altro,  ma  questo  limitatamente  al  tiro in  pedana  dove  ci  saranno  magari  spesso  dei mediocri  cacciatori,  ma  in  compenso  fucili primo  piano,  specialmente  in   Italia. Altra   cosa   da   tener   presente   nel   tiro   a più  animali   contemporaneamente   è  quella  di  sparare   sempre  al  selvatico  di  testa. Credo  che  sia inutile  ricordare  che  mai  e  poi mai   si   deve   tirare   al   branco   perché   nessun capo  di  selvaggina  cadrà  con  questo  sistema salvo  rare  eccezioni.Chiudiamo questo articolo ricordando a tutti i cacciatori che la selvaggina è scarsa e che un dono di Dio agli uomini: di conseguenza  rispettarla al massimo nel senso di sparare soltanto quando c’è la possibilità tecnica d’incarnierare.Tentare I cosiddetti tiri lunghi per sparare trenta fucilate ed ammazzare un capo, significa ferire probabilmente una quindicina di selvatici, alcuni dei quali andranno a morire irrimediabilmente perduti; significa cioè una offesa alla natura che ci circonda e della quale i uomini facciamo parte.

IL TIRO NEL BOSCO

Descriveremo ora  il tiro nel bosco sia col cane da penna che da seguito oppure alla minuta sel­vaggina. I francesi dicono che niente è più facile che tirare un colpo di fucile, ma che niente è più difficile che spararlo bene, e spe­cialmente nel bosco.Siamo convinti che alla base di un tiro ben aggiustato ci sia una corretta impostazione e con ciò non intendiamo soltanto l’imbraccia­tura, come molti autori si sono limitati di raccomandare, ma la posizione dì tutta la per­sona del tiratore, dai piedi alla testa. Vedremo in seguilo, trattando del tiro in bot­te, l’enorme importanza degli arti inferiori co­me premessa indispensabile per sparare bene, ma anche nel bosco molte padelle potreb­bero essere evitate se l’imperizia o le circo­stanze avverse, non costringessero il caccia­tore a sparare in posizioni anormali o addirit­tura in equilibrio instabile. Per una corretta impostazione, dobbiamo pren­dere ad esempio i più noti fucili sui campi internazionali delle gare di tiro a piccione e vedremo che, salvo eccezioni, la posizione è la seguente : gambe poco divaricate che sostengono, equamente ripartito, il peso del corpo, busto rivolto verso le cassette, calcio ben appoggiato alla spalla vicino alla clavicola, tollerato se un po’ sporgente superiormente, guancia aderente alla faccia interna del calcio stesso e pertanto testa leggermente inclinata. La mano destinata all’impugnatura deve avere il pollice sopra questa, l’indice sul ponticello e quindi in prossimità del grilletto, il medio, l’anulare ed il mignolo al di sotto, gomito relativo all’altezza della spalla o quasi, ma non al di sopra, l’altro braccio leggermente pie­gato colla mano corrispondente che afferra le canne all’altezza dell’asta ed in uno con que­sta. Il fucile imbracciato dovrà essere bene in mano al tiratore, il quale però non terrà i muscoli irrigiditi, ma curerà di afferrare l’arma con una leggera tensione che gli permetta di mantenere i muscoli quasi rilassati. Questo atteggiamento dì scioltezza muscolare, coll’arma alla spalla un attimo prima « d’incannare » e sparare, è lo stesso che adottano gli schermito­ri ed i pugnatori quando sono in guardia e gli specialisti dei cento metri piani un attimo prima dello sparo di partenza. Altro classico esempio di atteggiamento muscolare sciolto, ma vigile, è quello del felino all’agguato. Le gambe del cacciatore non devono essere uni­te perché questa posizione faciliterebbe la per­dita d’equilibrio qualora il volatile lo costrin­gesse a volgersi di scatto all’estremità destra o sinistra del settore di tiro, oppure in caso di difficoltà su terreno scosceso, sassoso o co­sparso di residui boscosi che intralcino i mal­leoli od intrichino i ginocchi; non devono, le gambe, essere nemmeno troppo divaricate per­ché ostacolerebbero il movimento di rotazione d:l busto rispetto al suo asse verticale. Chiunque è consapevole che l’impostazione clas­sica in pedana sopra descritta, non può essere in pratica sempre applicata, ma va altresì ri­cordato che, mentre al tiro al piccione si realizza, a volte, e spesso si rasenta il cento per cento dei tiri positivi, a caccia il cinquanta per cento è già un traguardo non sem­pre superabile anche da buoni cacciatori, per molteplici fattori che possono influenzare o ostacolare il tiratore sul terreno. Lo sparo in posizione disagevole è uno degli inconvenienti più probabili che possono veri­ficarsi fuori della pedana e che, oltre ad esser causa di padelle, può a volte essere addirittura pericoloso per l’incolumità dì uomini e cani.

FUCILE PER LA CACCIA NEL BOSCOII fucile più adatto per la caccia nel bosco è la doppietta a canne giustapposte o sovrap­poste secondo i gusti, mentre il fucile automa­tico è meno consigliabile.Infatti, a parità di lunghezza di canne e di calcio, l’automatico è più lungo di tutto il coperchio (circa 18 centimetri) rispetto alla doppietta, ha il peso squilibrato in avanti a causa delle cartucce nel serbatoio (ad ecce­zione del Cosmi) ed il vantaggio del terzo colpo è relativo in un ambiente come la macchia dove molto spesso riesce impossi­bile sparare anche la seconda fucilata. Al contrario, la maneggevolezza, l’equilibrio e la minor lunghezza dei due tipi di doppietta, non solo permettono imbracciature più rapide con conseguenti fucilate più pronte, ma pre­sentano anche il non trascurabile vantaggio di offrire al tiratore che sa sfruttarle, due stroz­zature differenti. Cade qui opportuno dire che le canne di una doppietta per caccia in bosco devono aggirarsi sui sessanta-sessantotto centimetri di lunghezza con la destra cilindrica per­fezionata e la sinistra semi-strozzata. Anche per il peso dell’arma si può indulgere alla leggerezza perché i tiri a caccia in bosco sono pochi in una giornata ed il maggior contraccolpo non da nota, mentre la fatica di camminare è tanta che un fucile al di sotto dei tre chili risulta assai pratico. Non dimenticare poi che l’automatico moderno, che non s’inceppa mai se ben tenuto (molto spesso non crea noie nemmeno se tra­scurato e rugginoso) è molto sensibile alle car­tucce, le quali, se presentano anche un lieve ri­gonfiamento conseguente a leggera umidità, bloccano il meccanismo di espulsione, oppure la molla del serbatoio non riesce ad espellere le cartucce verso il cucchiaio elevatore. Inoltre occorre regolare l’anello frenante che scorre lungo la superficie esterna del serbatoio delle cartucce, per adattarlo alle cariche. 

tiratore Il tiro a Caccia...

Corretta impostazione del torso  e  dei piedi  di   un   tiratore  in pedana.  Si   notino  i piedi  uniti, con te punte divaricate, il gomito levato, la testa fortemente abbassata sul calcio   dell’arma   in   modo   che   l’occhio scorra correttamente sulla bindella. In effetti il tiratore di pedana ha poco bisogno di muovere  i piedi  e  i  suoi  movimenti  interessano essenzialmente il tronco. Suo problema di fondoèquello di poter muovere agevolmente e rapidamente l’arma  dal  basso verso  l’alto (piccione e piattello sono quasi sempre ascendenti) e di poter spostare la stessa sulla destra o sinistra, per coprire tutte le possibili direzioni  del piattello o tutte le cassette. Per ottenere questo, il tronco deve ruotare sui piedi come  su  un perno.DIFFICOLTA’ DI TIRO DA SUPERARE  Le distanze di tiro, l’emozione, gli ostacoli visi­vi della vegetazione boschiva, la scarsa cono­scenza del volo del selvatico ed infine la stan­chezza sono le cause che concorrono in mag­gior misura agli errori di tiro, o « padelle ». Alcuni di questi elementi sono caratteristici della caccia in plaghe selvose (occultamento del selvatico sulla traiettoria di volo) altri invece sono comuni a qualsiasi tipo di caccia. Vale la pena di esaminare il modo coi quale cercare di evitare al massimo gli errori. La di­stanza è di gran lunga il più importante di tutti gli errori che può commettere un caccia­tore; il calcolo della distanza è difficile perché la luce non sempre è la migliore, mentre spes­so l’istantaneità della stima impedisce qualsiasi considerazione marginale, come il confronto con cespugli od altro, per formarsi un giudizio soddisfacente; inoltre la stessa traiettoria del selvatico influisce sulla maggiore o minore cre­scita della distanza durante l’attimo nel quale il cacciatore imbraccia e tira. Ed allora come regolarsi? Il sistema classico è quello di osser­vare se si distingue il colore delle penne; in caso positivo non ci sono dubbi : l’animale è a tiro.

Ma frequentemente le circostanze non sono così favorevoli. La luce, può essere un po’ scarsa; l’ombra della vegetazione e la posi­zione controluce del selvatico in volo osta­colano poi la stima della distanza perfino al­l’esperto che sa come in certe circostanze,-anche senza poterne distinguere i colori, l’ani­male può essere a tiro. Di qui gli errori possibili, che consistono sia nello sparare ad un ani­male che tardivamente ci si accorge essere lontano e nel non tirare ad un altro che invece era a distanza giusta. Nel bosco il problema del­la stima della distanza del bersaglio è spesso risolto dal confronto con la vegetazione o altri ostacoli che si trovano sulla linea di tiro, co­stituendo riferimenti assenti in palude. Lo stesso cane da penna in ferma davanti al cac­ciatore, o meglio tra questi ed il selvatico, può essere un utile riferimento in proposito. Comunque quando si presentano occasioni di luce cattiva, di tiri improvvisi, in una parola quando nessuna circostanza particolare viene in aiuto nella stima della distanza, non resta­no che la praticaccia del cacciatore, il suo col­po d’occhio, la mole del selvatico che si allon­tana a indicare se il bersaglio è a tiro. Sempre a proposito della distanza di tiro, mol­ti cacciatori, si lasciano persuadere da colle­ghi faciloni che si può benissimo ammazzare a cinquanta metri, magari a settanta. Sia ben chiaro che il tiro normale di un calibro do­dici con pallini dal numero sette al numero quattro con cariche usuali, è di non oltre qua­ranta metri, eccezionale devesi ritenere tra i quaranta ed i cinquanta, assolutamente scon­sigliabile oltre tale distanza. Naturalmente qui si parla del metro di cento centimetri e non di quell’unità di lunghezza del tutto perso­nale dei tiratori di cui sopra che uccidono a settanta metri. Sul posto poi, detta distanza, misurata, verrà ridimensionata a quaranta me­tri poco più. Son cose di tutti i giorni. E poiché, a volte, certe discussioni sorgono tra persone serie e non sempre con millanta­tori (la figura del cacciatore ballista è ormai sfruttata dalla letteratura dell’800) se ne arguisce che la buona fede deriva da incompetenza e nel caso delle distanze di tiro, portate dei fucili e quant’altro, da un’inesatta stima delle distanze.

tiratore_01 Il tiro a Caccia...

Mentre a caccia la testa finisce inevitabilmente per risultare assai sollevata dal calcio — si ottiene così un naturale anticipo sul selvatico in ascesa, poiché l’occhio scopre interamen­te la bindella — il tiratore di pedana appog­gia la guancia sul calcio e « vede » sostanzial­mente solo tre punti nello spazio: la parte superiore della cassa, il mirino e il bersa­glio. È per questa ragione che lo stesso fu­cile usato a caccia non da percettibile rinculo a chi l’usa, mentre in pedana può causare col­pi allo zigomo, che arrivano fino alla lacera­zione della pelle. Si tenga comunque pre­sente che la sensazione di rinculo ad arma impostata è sempre superiore a quella che si avverte imbracciando al momento del frullo del selvatico, se naturalmente in quest’ultimo caso l’imbracciatura è corretta. Tale differenza di rinculo sussiste anche fra tiri a volo e tiri a fermo. L’emozione è il secondo fattore da tener pre­sente allorquando si alza a volo l’agognata sel­vaggina. Ed è tanto più facile cadere vittima dell’emozione, quanto più rari sono gli incontri, più affaticata ed appassionata la ricerca. Pur­troppo l’emozione gioca dei bruttissimi scherzi e va assolutamente non diciamo repressa, ma addirittura debellala. Per riuscire pressoché indifferenti davanti a qualsiasi selvatico che si metta in fuga davanti a noi, occorre agire contemporaneamente in due sensi ben distinti : volontà ed attività venatoria piuttosto intensa. Nel bosco questa padronanza di nervi dovrà raggiungere un alto grado di educazione tanto da potere essere, secondo le circostanze, sia freddamente precipitosi, sia tempestivi nel sen­so di sapere scegliere il momento adatto, nel quale la selvaggina si scoprirà, per poterle in­viare almeno una schioppettata. In altre parole, nel bosco occorre assoggettarsi alle condizioni ambientali nel senso che non è possibile sceglie­re il tempo di tiro secondo un criterio perso­nale di comodo, ma sparare al bersaglio semo­vente in funzione della sua apparizione e spa­rizione nella macchia a differenza di quanto accade nel pulito dove ognuno spara quando crede, col solo lìmite dalla portata della can­na. Quindi padronanza assoluta dei propri ner­vi perché, deficiente questa, il successo delle fucilate risulterà del tutto casuale. Gli ostacoli costituiti dalla vegetazione boschiva sulla linea ogni probabilità cercheranno di sottrarsi alla di mira creando delle vere e proprie difficoltà che anche abilissimi cacciatori di palude han­no dimostrato di non sapere eliminare nelle loro prime esperienze di caccia nella macchia. Anche qui la praticacela affina i sensi, l’intuito; indovinare un tiro ad una beccaccia, ad un fagiano indiavolato (di quelli nati nel bosco) o ad una lepre in una palina od in una querciolaia, sembra cosa impensabile; eppure si finisce  col   riuscirci  se  si è animati da vera passione.

I suggerimenti da dare in questo caso sono di sparare a tiro, di far conto che le fra­sche leggere non, esistano, di aspettare l’animale a quell’apertura tra la vegetazione più folta dove l’udito e l’istinto indicano che quasi cer­tamente la selvaggina passerà. La conoscenza del volo di ciascun tipo di sel­vaggina è assai utile per prevederne le mosse e facilitare il tiro; nel folto la cosa riveste naturalmente, ancora maggiore importanza. II fagiano che si decide a farsi fermare dal cane quasi sempre, se non ricomincia la fuga di pedina, fa una corsetta per prendere lo slancio necessario al frullo. Pertanto non si aspetti il cacciatore che il furbo gallinaccio prenda quo­ta davanti al cane: molto spesso infatti s’in­volerà di lato a questo, comportamento che non deve cogliere di sorpresa perché altrimen­ti il fagiano « ruberebbe » le due fucilale che risulterebbero tardive e fuori tempo. Le starne seguite dal cane nel bosco con guidata, procedendo insieme di piede fino ad uno spiazzo erboso che permetta loro di pren­dere il volo decise e veloci, con quel loro<< che, che, che >>  caratteristico che mette spes­so in subbuglio l’appassionato. Frequentemen­te la brigata s’involerà, causa la vegetazione boschiva, a ventaglio ed il cacciatore avrà dovuto prevedere, con un attimo di anticipo, a quale settore di tiro dedicare la propria attenzione, trascurando gli altri. I neofiti fini­scono spesso, nell’intento di cercare il selva­tico che si presenta meglio, col rigirarsi da tutte le parti perdendo ogni possibilità di spa­rare.

tiratore_02 Il tiro a Caccia...

A caccia il successo o meno dei tiri dipende in gran parte dalla solidità con la quale i cacciatore poggia i piedi in terra, cioè dalla stabilità della sua persona. La posizione piedi uniti usata al tiro è quindi la meno adatta mentre quella ideale è rappresentata dal piedi sinistro leggermente in avanti e tronco an ch’esso portato avanti. Bisogna inoltre ricor dare che la varietà di tiri che si offrono al cacciatore è infinitamente superiore a quelli che affronta il tiratore: un arco di cento venti gradi coperto dal fucile puntato copri praticamente ogni possibile direzione del piai fello o del piccione, mentre a caccia, nel solo settore anteriore, il cacciatore deve essere in grado di coprire all’occorrenza fino a centottanta gradi; a questo angolo vanno aggiunte tutte le imprevedibili possibilità d tiro sul terreno di caccia, dal tiro avanti sopra di sé a quello nettamente posteriore.

tiratore_03 Il tiro a Caccia...
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La figura mostra le ampie possibilità di mo­vimento offerte dalla posizione piede sinistro e tronco leggermente spostati in avanti: come si vede ii tiratore può far compiere alla canna del fucile un arco superiore persino ai centottanta gradi. Altro fattore importante di suc­cesso a caccia sta nel presentarsi al selvatico in modo che questo fugga o transiti sulla si­nistra del cacciatore, e lo «swing» del fucile avvenga conscguentemente da destra a sini­stra. In effetti, su cento padelle di un tiratore normale un’altissima percentuale si verifica nei tiri da sinistra a destra, e viceversa per i cen­tri; altre padelle possono essere dovute a cat­tivo piazzamento dei piedi — spesso forzo­so — o a stanchezza generale del cacciatore. La lepre, sotto la ferma del cane, partirà quasi sicuramente davanti al suo naso perché la direzione in diagonale offrirebbe più facilmen­te all’ausiliare la possibilità, riprovevole per altro, di tagliarle la strada ed abboccarla. Ad ogni modo il furbo roditore con diabolica abi­lità, riuscirà sempre ad interporre tra la sua fuga ed il tiratore un opportuno ostacolo; pare impossibile, ma quando schizza la lepre, c’è sempre un tronco od il cespuglio che ne nasconderanno la agilissima e silenziosa fuga. Per la beccaccia le cose si complicano. Alcuni sostengono che nella macchia lo sco­lopacide s’invola a colonna. Questo è vero, ma non. sempre. La beccaccia sceglie questa sua particolare partenza verticale quando il tipo di vegetazione boschiva non le consente altre possibilità di fuga, ma se invece può andar via a volo radente preferisce sempre questo secondo sistema.Nel primo caso, ossia col volo a colonna, non bisogna aver fretta; tirando in modo pre­cipitoso è padella quasi certa, sia perché la verticale si sviluppa tra le frasche, sia perché l’uccello prende quota molto rapidamente; si commette quindi con facilità l’errore di tirare basso, errore facilitato dalla mancanza di visi­bilità. Se invece il cacciatore ha i nervi saldi, con quasi certezza scoprirà la beccaccia quando sorge al di sopra della vegetazione e potrà inviarle una schioppettata nell’istante in cui il selvatico spiana il volo al termine della ver­ticale.Molte volte però la beccaccia va via a <<ci­vetta >>, sfalchettando tra i tronchi con im­provvisi scarti ed allora non ci sono regole ed il tiro è difficilissimo, assai più impegnativo di quello al beccaccino, pietra di paragone delle difficoltà dì chi spara a volo. Quasi sem­pre, in questi casi, si deve tentare la fucilata ad intuito, avventando la botta ed affidandosi all’esperienza del volo dell’animale, alla propria abilità di tiro ed alla fortuna che, in quest’ul­tima circostanza, ha grande influenza sull’esito dell’incontro.La stanchezza è un altro fattore che crea diffi­coltà nella caccia in bosco, a volte tramutan­dosi addirittura in un senso di sgomento. Il cane da penna è davanti, s’inoltra in un folto scopeto disseminato da quercioli; l’uomo Io segue intento pensando che il lavoro del cane lo conduca rapidamente ad una conclusione po­sitiva; ma il cane nella macchia accelera l’an­datura, allora il cacciatore lo segue coll’udito, ma a poco a poco il rumore si affievolisce, poi si perde del tutto. L’uomo attende uno, due minuti; nulla! Pone mano al fischio, dapprima piano, poi più forte: niente .Attende, quindi richiama coll’identico negativo risultato. Allora s’addentra sempre più nella macchia verso la direzione dove il cane è sparito, fischia, anco­ra senza esito. Già tre o quattr’ore di cammino hanno attenuato le sue energie, ma ora quel mare di legna che lo avvolge e lo imprigiona con la sua rude cedevolezza e coi graffi delle marruche gli fa sentire un senso di scora­mento, di rabbia per il cane che non torna, di risentimento contro se stesso per essersi cac­ciato in quell’inferno vegetale. In queste circostanze, c’è un solo sistema per uscirne fuori bene : sedersi un attimo per ri­prender lena, accendere una sigaretta e quindi tornare indietro, se non si conosce la mac­chia oltre il luogo dove siamo arrivati. Il cane tornerà quanto prima.

fagiani Il tiro a Caccia...

Si  dice  fra  cacciatori  che  un  selvatico  e tiro  quando  è  possibile  distinguerne  al vagamente   il   colore  e  la   disposizione penne. La regola è generalmente valida,  ma presenta   almeno   due   eccezioni   importanti : quando il selvatico è controluce appare sempre uniformemente scuro, e per la valutazione  della distanza occorre basarsi su altri elementi, per esempio le sue dimensioni. Altra eccezione è costituita dalle condizioni di luce nel bosco:   anche  qui  distinguere  il  colore  delle penne è spesso impossibile. Si tenga comunque conto che nel bosco il selvatico appare sempre molto più lontano di quanto non sia in realtà. Per la caccia in collina, con il cane a  selvaggina  stanziale,  il  problema  della  distanza ha comunque importanza relativa, che è certo che la maggior parte dei selvatici colpiti lo è entro un massimo di 25 m. cioè ampiamente entro i limiti di portata del fucile.

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